|
MARCO SEVESO Marco Seveso segue un percorso complesso da collegare e difficile da collocare in uno specifico contesto artistico. L’astrazione concreta fatta di immagini reali, che non appartengono al piano percettivo e non è puro fenomeno mentale, nel momento in cui s’incarna nello spazio pittorico, da una parte diventa allegoria e simbolismo e quindi concetto, dall’altra oggetto, elemento, sostanza, cioè concretezza. Neppure il titolo delle opere riesce a condurre verso un’interpretazione univoca. E’ come viaggiare con la mente ed il corpo su pianeti diversi che si sovrappongono restando, nel contempo, sospesi e radicati. Anche il racconto si fa intrigante nel procedimento di straordinario effetto visivo. Dopo un primo impatto, in cui sembrerebbe ideato per illustrare un libro per ragazzi o per riprendere alcune scene che potrebbero rimandare alla tecnica dell’entrelacement (intreccio-groviglio) - utilizzata da Ariosto per mantenere vivo l’interesse sul proseguo delle avventure di Orlando - ad un’analisi più attenta, conduce verso le surreali ed inquietanti scoperte di stampo kafkiano. Ad esempio, il pesce tromba, come afferma l’autore “allegoria subacquea del mito del successo”, è braccato da tanti ostacoli, strumenti di tortura, che minacciano la sua stessa incolumità e, anche quando incontra la fanciulla dal volto angelico, scopre un corpo deforme che non rispecchia la possibile soddisfazione di alcun desiderio. L’insieme diviene metafora dell’inganno costante tra l’essere e l’apparire, diventa espressione delle insidie ostili, che bloccano le nostre ambizioni più naturali. Se ne deduce, che ogni possibile interpretazione di un dato figurativo è concetto e viceversa. Nell’emblematica successione, i personaggi, manovrati da un intelligente regista, si muovono come su un palcoscenico di tela, dove interpretano oniriche scene rendendole marcatamente reali. Anche il tempo non è cronologico, anzi è flusso di luce cromatica intermittente tra passato e futuro in grado di dilatarsi all’infinito. Ne deriva, quindi, per una sorta di processo analogico, che qualunque indicazione di lettura possa rappresentare anche il suo opposto, un po’ come la vita che si alterna alla morte o il dolore che incontra la felicità nell’attimo transitorio che solo l’artista sembra catturare, senza dover spiegare. Prof. Giuseppina De Maria |